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Le indagini epidemiologiche confermano: oltre cento persone sono state contaminate da un potente insetticida. E intorno al fiume del basso Lazio cresce la paura
La valle del fiume Sacco, in provincia di Frosinone, vive ore da incubo. Le indagini realizzate nel 2006 dalla Asl RmE per conto dell’assessorato all’Ambiente della Regione Lazio, rese note soltanto fra novembre e gennaio scorso, mostrano una realtà che molti avevano intuito: circa 135 persone a ridosso della provincia di Roma, pari al 55% di quelle monitorate, sono state contaminate in maniera irreversibile dal beta esaclorocicloesano (B-Hch), una sostanza derivante dalla sintesi di un potente insetticida (il lindano) bandito nel 2001 e prodotto dalle fabbriche che sorgono lungo quest’affluente del Liri.Il quadro però potrebbe essere ancora peggiore: si attendono infatti le analisi relative a 700 persone in un territorio nel quale l’indagine ha già rilevato un forte aumento del tasso di tumori per i lavoratori esposti a prodotti chimici e amianto negli impianti industriali di Colleferro.
QUEGLI SPORCHI ANNI ‘70
Una vera e propria emergenza ambientale che affonda le radici negli anni Settanta, con le prime relazioni sanitarie sull’ambiente di lavoro della Snia. E che era già esplosa nel 2005, quando i prelievi dell’Istituto zooprofilattico sperimentale avevano dimostrato come da queste parti il B-Hch si stesse diffondendo nella catena alimentare. Ne erano state trovate tracce nel latte di un’azienda bovina di Gavignano (Rm) in un valore circa 20 volte superiore a quello consentito dalla legge.
Da allora è successo assai poco di positivo: «Bisogna dare atto alla Regione di aver avviato, seppure in piccola parte, la bonifica – spiega Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio – Ma rimangono ancora molti nodi da sciogliere: serve maggiore trasparenza sui luoghi in cui viene scaricato il terreno rimosso, maggiori certezze sull’assoluto non inquinamento della catena alimentare». C’è poi il problema degli impatti: «Il bacino del Sacco – aggiunge Parlati – è quello con il più alto numero di scarichi industriali, ben 88, dell’intera regione, con milioni di metri cubi di reflui ogni anno. Serve una nuova stagione di controlli e soprattutto che non si aggiungano altre attività impattanti a quelle che già oggi avvelenano il fiume».
SCHIUMA MALEODORANTE
Basta recarsi sulle rive del Sacco, fra Anagni e Ceccano, per rendersi conto della situazione: l’acqua è schiumosa, l’aria irrespirabile, il paesaggio fortemente degradato. E il piano di recupero con fondi europei, prospettato dall’assessore regionale all’Agricoltura Daniela Valentini (v. La Nuova Ecologia di ottobre 2005), fatica ad invertire la rotta del degrado: «Nel novembre 2006 – dice l’assessore – abbiamo istituito il Distretto agroenergetico della Valle dei Latini, il primo d’Italia a produrre energie da biocarburanti e biomasse per alimentare autobus e riscaldamenti. Abbiamo approvato anche il piano di distretto per la tutela e il rilancio delle attività agricole tradizionali, tra cui soprattutto la zootecnia. Puntiamo a trasformare il luogo simbolo dell’inquinamento ambientale in un’area di energia pulita e biodegradabile».
Intanto i dati rilasciati dal sub-commissario per l’emergenza Valle del Sacco, Pierluigi Di Palma, restituiscono un quadro drammatico: 3.000 ettari di territorio da sottoporre a bonifica, 700 dei quali interdetti a ogni attività produttiva agro-alimentare, 6.000 capi tra bovini e ovini abbattuti nel 2005, circa 8 milioni di euro erogati ad oggi in indennizzi agli agricoltori sui 10 milioni stanziati.
MILIONI DI PROMESSE
Altri sei milioni sono stati chiesti al ministero dell’Agricoltura per 28mila campionamenti di acqua prelevata dai pozzi. In più c’è l’incubo del betaesaclorociseano trovato nel corpo dei residenti che continuano a chiedersi chi pagherà per tutto questo. Il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, durante un tesissimo incontro pubblico a gennaio nel comune di Morolo, uno degli epicentri di questa vicenda, si è impegnato a «risanare una valle devastata da oltre 20 anni di crimini contro l’ambiente». Anche l’assessore all’Ambiente, Filiberto Zaratti, fa sapere che esiste uno stanziamento da 72 milioni di euro per risanare la zona con reti fognarie, sistemi di collettamento, impianti di depurazione urbani e industriali, riutilizzo di acque reflue.
«Sarà un punto di partenza per la rinascita del territorio» dice. Ma la gente da queste parti continua a tremare.
Articolo pubblicato sul numero di marzo de La Nuova Ecologia
di LORENZO FOGGIA
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