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17 aprile 2010

La Casta dell’acqua

Riportiamo di seguito la presentazione e un estratto del libro La Casta dell’acqua. Come la privatizzazione sta assetando l’Italia” di Giuseppe Marino (Nuovi Mondi) ed acquistabile sul sito www.commercioetico.it

Buona lettura!!!
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Carissimi, questa settimana vi presentiamo un nuovo libro di Nuovi Mondi: “La Casta dell’acqua. Come la privatizzazione sta assetando l’Italia” di Giuseppe Marino.
Marino racconta in modo agile e molto interessante le storie dell’acqua in Italia, come si e' arrivati alla privatizzazione e alla disobbedienza, come l’esempio di Aprilia dimostra. E’ di questi giorni infatti la notizia che il Comune della cittadina ha deciso di riprendersi la gestione amministrativa dell’acqua pubblica. Una grandiosa vittoria conquistata grazie alla tenacia dei cittadini. A dimostrazione che l’Anticasta funziona, eccome.
Il libro di Marino e' un racconto che riguarda tutti.
Vi proponiamo un brano dall’introduzione e l’inizio della storia di Aprilia. Buona lettura.
Introduzione
e' il 4 maggio 2006 quando l’Italia viene scossa da un inatteso coming out. “Mi faccio il bagno una volta a settimana”, confessa Fulco Pratesi. E non e' finita: “Con mia moglie facciamo a turno a tirare lo sciacquone”. L’ambientalista, da una vita uomo simbolo del WWF, mette a nudo le sue abitudini e le sue abluzioni sulle pagine del Corriere della Sera, scatenando un acceso dibattito (e non poche risate). Pratesi consiglia anche di usare un catino per tirare l’acqua nel WC - “si spreca meno” - e si ferma solamente sulla soglia del sacro vincolo dell’ospitalita': gli invitati possono stare tranquilli, lui non fa come il sindaco di Londra Ken Livingstone, che impone l’austerity dello sciacquone a chiunque entri in casa. “Questo magari e' troppo”, sussurra Fulco.
Ironia a parte, all’insolita rivelazione va quantomeno riconosciuto il merito di aver sollevato la questione dello spreco d’acqua. Al di la' delle buone intenzioni, tuttavia, se la prospettiva e' quella di un ultra' dell’ambiente piu' che di un esperto della natura, il dibattito rischia di arenarsi immediatamente in uno sterile muro contro muro. Il presidente del WWF, da bravo ambientalista, si preoccupa del livello dei fiumi e dei mari, ma dimentica che e' proprio nei fiumi che va a finire l’acqua dei nostri scarichi. Casomai, bisogna chiedersi se sia correttamente depurata, se l’equilibrio dei bacini idrografici venga rispettato.
Davvero non possiamo permetterci di tirare lo sciacquone?

In realta', l’acqua dolce presente sulla Terra, stando alle stime, basta e avanza per dissetare l’umanita'; quando si parla del liquido di cui la vita ha tanto bisogno, tuttavia, neanche concetti quali abbondanza o scarsita' riescono a sottrarsi all’inafferrabile prospettiva della relativita'.
In generale l’acqua c’e'; che sia tanta o poca dipende da quanta ne serve in un dato luogo o momento. Quel liquido trasparente e incolore, infatti, pesa dannatamente e per raggiungere i nostri rubinetti deve compiere viaggi piu' o meno lunghi. Milano, ad esempio, non soffre di particolari problemi di approvvigionamento. Ma se tutti i rubinetti della citta', industriali e civili, venissero aperti all’unisono, non c’e' dubbio che anche la capitale economica d’Italia sperimenterebbe l’arsura che gli abitanti di alcuni quartieri di Agrigento sono costretti a sopportare estate dopo estate.
Fulco Pratesi si lava con moderazione, convinto che si tratti di un’abitudine salutare: “Non siamo cosi' sporchi, anzi piu' uno si lava e piu' attiva certi processi di reazione della pelle. Il cavallo mica si fa il bagno, eppure profuma di petunia”. E, nella sua invettiva anticonsumistica e naturalista, il presidente del WWF spiega che si e' anche attrezzato con un bel frutteto in terrazzo: “Un albicocco, un melo, un ciliegio, un fico, un limone e un lampone”. La frutta fresca piace a tutti, no? Quindi Pratesi coltiva e annaffia, al piano alto di un edificio, in un elegante quartiere del centro storico di Roma. Se si va a guardare la bolletta idrica del nostro paese, pero', si scoprira' che i consumi piu' elevati sono proprio quelli dell’agricoltura, un settore che “beve” molto piu' dei nostri sciacquoni: d’estate gli alberi da frutta possono inghiottire fino a un paio di litri d’acqua al giorno. E, anche se l’acqua c’e', il problema riguarda costi e benefici: trasportarla per irrigare fino all’attico di una palazzina non risponde certo ai criteri di risparmio che Pratesi adotta per il resto dei suoi consumi domestici.
Quando aprite il rubinetto, tenete a mente questo concetto elastico ed economico relativo alla carenza di acqua; altrimenti finirete per ragionare da tifosi, ignorando i dati di fatto e scontrandovi solamente sulla base di premesse ideologiche. Il che, in fin dei conti, e' lo sport piu' diffuso in Italia, e il piu' nocivo per l’ambiente. Decidere come gestire al meglio l’acqua, pero', non e' come urlare dagli spalti dello stadio: in campo non ci sono le nostre squadre di calcio preferite, ed e' molto difficile che le soluzioni migliori possano saltar fuori come prodotto di una tenzone intellettuale tra la compagine degli ultra' liberisti e quella dei pasdaran statalisti. Qui bisognera' sporcarsi le mani maneggiando qualche numero, provare addirittura a masticare qualche dato di fatto. Si', e' vero: talvolta gli strumenti di comprensione intralciano il sottile piacere della sfida retorica. Si sa che a noi che abbiamo sempre le idee chiare a priori, a noi che su qualsiasi argomento abbiamo sempre un’opinione pronta – possibilmente classificabile come di destra o di sinistra, e comunque sempre un po’ di centro – fatti, numeri e strumenti fanno un po’ schifo. Ma stavolta non c’e' niente da fare, dobbiamo almeno provarci.
La prima cifra di cui abbiamo bisogno riguarda la suddivisione del consumo. Il 60 per cento del prelievo idrico e' destinato all’agricoltura, il 16 per cento all’uso civile e il restante 24 per cento al settore industriale, nel quale e' compresa anche la produzione di energia elettrica. Naturalmente, questo non significa che nelle case italiane docce e sciacquoni siano gestiti senza sprechi: al contrario, nella nostra penisola il prelievo medio per l’ambito domestico e' pari a 267 litri al giorno pro capite, ed e' il piu' alto in Europa (rispetto ai 156 litri della Francia o ai 162 dell’Austria).
Citta' come Milano, ma anche Bari, mostrano consumi compresi tra i 500 e i 600 litri al giorno per abitante, un record nel continente. Milanesi e baresi devono dunque iniziare a procurarsi il catino del WWF e mettere i sigilli allo sciacquone? e' certo che la disponibilita' d’acqua dipende da un equilibrio tra domanda e offerta che si sorregge anche su un uso non dissennato della risorsa idrica nelle nostre case, per quanto queste non siano il primo luogo di consumo. In ogni caso, e' possibile installare in casa rubinetterie piu' efficienti e non ha senso lasciar correre l’acqua quando non serve; per tornare alla questione degli sciacquoni, poi, si vanno diffondendo quelli a doppio rilascio, una soluzione che permette di tirare l’acqua a volonta' mantenendo pulita anche la coscienza. Resta il fatto che e' senz’altro piu' importante evitare opere che, deviando fiumi e prosciugando bacini sotterranei, mettano in crisi la capacita' di autoalimentarsi del ciclo dell’acqua: troppo cemento frena l’assorbimento delle piogge da parte del terreno, che fa parte di questo ciclo, prosciugando le falde acquifere. Inoltre, se sensibilizzare gli utenti a evitare gli sprechi e' un fatto positivo, siamo sicuri che la strada giusta passi per il terrorismo psicologico, per i sensi di colpa sul futuro del pianeta, per la richiesta di stravolgere abitudini consolidate? Rinunciando a una doccia a Roma non si regala automaticamente qualche litro d’acqua in piu' a chi vive in Mauritania. Pubblicando ogni giorno un articolo sulla sparizione delle farfalle o sull’estinzione delle api da qui al 2050, si rischia di provocare anche una reazione di rigetto o come minimo di assuefazione all’allarmismo. Soprattutto se poi il lettore va al supermercato e scopre che il miele, prodotto dalle api, continua a essere disponibile come sempre.
(Continua)
Tra la Via Pontina e il West: sentite questa storia
Troppo grossa per essere un paese, troppo priva di storia per essere una citta', Aprilia si trascina dietro un record che nessuno le invidia: inaugurati i primi palazzi nel 1937, e' stata rasa al suolo nel 1944. Di una tendenza alla distruzione cosi' radicata, la citta' fondata da Mussolini nell’Agro pontino (troppo vicina a Roma per disporre di una propria autonomia e troppo lontana per diventarne un semplice sobborgo) ha serbato un gene maligno che la obbliga, fin da quando e' nata, a innalzare senza sosta palazzi su palazzi (i residenti aumentano di mille abitanti l’anno da trent’anni). Una frenesia costruttrice anonima e disordinata, uno spasmo continuo, uno sforzo uguale e contrario per far pari con la distruzione dei primi anni di vita.
Chi vive ad Aprilia conosce bene l’acqua, e la teme allo stesso tempo: tutto, qui (dai palazzi disuguali del centro alle case abusive della periferia, sbriciolata in cinquanta borgate), sorge infatti sulla terra sottratta alle paludi pontine grazie alla piu' grande opera di bonifica della storia d’Italia.
Quell’acqua prosciugata e' sempre pronta a fare ritorno – nelle minacciose vesti degli allagamenti, che in zona certo non mancano, cosi' come nella forma, piu' benevola, di ricche falde idriche, pure quelle abbondanti in tutto l’Agro pontino. Ecco perche' agli apriliani deve apparire come l’ennesimo scherzo del destino il fatto che la propria citta' sia silenziosamente diventata un simbolo, un paradigma nella recente storia della privatizzazione idrica in Italia. Questa gente, accomunata per lungo tempo solo dalle radici recise - figlia e nipote dei coloni di tradizioni e dialetti diversi che il fascismo trasferi' in zona pescandoli nelle aree piu' depresse d’Italia, dal Polesine alla Sicilia - ha trovato da qualche anno un nuovo cemento in un’inedita forma di resistenza comune alla privatizzazione dell’acqua. Una lotta lunga, pacata e civile, una strategia della lumaca che merita di essere raccontata.
Il bello, e il brutto, di una citta' cosi' giovane e' che la storia da ricordare e' poca, e quindi puo' essere elencata nel dettaglio, fin nella data e nell’ora dei singoli avvenimenti. Ci sono una data e un’ora precise anche per l’inizio di questa storia: la mattina del primo luglio 2004.
Tutto comincia con un gesto ordinario, una mano che apre un rubinetto. Succede ogni giorno, ma quel giorno e' diverso dagli altri, perche' e' il primo della nuova gestione mista pubblico-privato dell’acqua di Aprilia. In apparenza e' solamente una delle tante manovre politico-amministrative locali alle quali pochi si interessano, soprattutto in un tessuto sociale sgranato come quello della quarta “citta' nuova“ dell’Agro pontino. Insomma, quel gran parlare di societa' miste, soci privati, gare d’appalto e consigli d’amministrazione non smuove le coscienze di nessuno, a eccezione di una manciata di frequentatori dei palazzi di potere della provincia di Latina. Tra i normali cittadini che aprono il rubinetto nessuno nota la differenza. O meglio, quasi nessuno: c’e' un ragazzo di 23 anni che gia' da tempo ha iniziato a impegnarsi nel sociale e soprattutto a informarsi. Cosi', gli e' capitato di leggere articoli allarmati, e allarmanti, sulle “guerre dell’acqua”, la grande sete e la privatizzazione. “Ma allora sta succedendo anche qua”, pensa Fabrizio Consalvi. Nella sua testa comincia a ruminare sulla possibilita' di impegnarsi in una grande causa che gli e' entrata in casa dal rubinetto. Una causa che, come un virus, riuscira' a contagiare centinaia di altre famiglie; non famiglie di attivisti, ma di normali cittadini fino ad allora lontanissimi da cortei, comitati e proteste.
Ma la grande causa di Fabrizio deve aspettare. Ci torneremo dopo aver capito cos’era successo in quei palazzi di potere locali, e in altri in tutta Italia, prima di quel luglio 2004.
(Continua)

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