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22 gennaio 2010

CS Retuvasa: Colleferro tra i veleni di stato

Comunicato Stampa Rete per la Tutela della Valle del Sacco

“Colleferro tra i Veleni di Stato”

Nel Febbraio 2007 è stato pubblicato dal Coordinamento Contro La Guerra Valle del Sacco un dossier sull’industria bellica a Colleferro, ripreso su internet (www.peacelink.it), che riportava il collegamento tra il regime di Saddam Hussein e le responsabilità dell’allora azienda locale di armamenti nel tacere da dove provenissero alcuni dei materiali che portarono gli ispettori dell’ONU a “pensare” che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa. Copia dei razzi Medusa81 prodotti dalla Snia BPD vennero trovati dagli ispettori e considerati impropriamente tubi per l’arricchimento dell’uranio. Oggi veniamo a sapere che le armi di distruzione di massa sono state prodotte fino al 1982 dalla stessa Snia BPD in disprezzo di tutte le convenzioni internazionali che già dagli anni trenta bandivano questo tipo di produzioni, come scrive Gianluca Di Feo nel suo libro “Veleni di stato”, pubblicato da Rizzoli nel novembre scorso: Una prova indiscutibile è stata scoperta nel quartier generale dei programmi segreti di Saddam Hussein, un punto fermo nelle voci che si sono accavallate per decenni. È un documento inedito, ottenuto grazie alla collaborazione di Stefania Maurizi, una delle migliori reporter investigative sulla proliferazione di armamenti proibiti. Si tratta di un rapporto recuperato dagli ispettori delle Nazioni Unite incaricati di smascherare i disegni apocalittici dell’ultimo rais. Quindici pagine di cianografie con i disegni di proiettili a gas progettati e sperimentati a Colleferro all’inizio degli anni Ottanta, un’altra capitale della chimica bellica italiana, ai confini tra la provincia di Roma e quella di Frosinone. L’intestazione è esplicita: Bpd Difesa-Spazio, la storica Bombrini-Parodi-Delfino che si è poi fusa con la Snia Viscosa. La firma è quella dell’ingegnere Angelo Cognini, capo dei laboratori balistici. Titolo: Prove sulla frammentazione dei proiettili e la dispersione dei liquidi. Data: 8 Luglio 1982.”(pag. 232). Queste rivelazioni vanno a confermare che nella Snia BPD era possibile, attraverso la segretezza militare e la mancanza di efficaci controlli, effettuare operazioni commerciali a discapito della regolarità delle operazioni. I misteri della Snia BPD sono stati affrontati in precedenza da una nostra comunicazione estratta dalla sentenza-ordinanza sulla strage di Ustica in cui veniva riportata la posizione dell’azienda di Colleferro sulle prove effettuate ai resti del Mig libico caduto a Castelsilano presumibilmente lo stesso giorno dell’abbattimento del DC-9 Itavia. Il dossier citato da Di Feo prosegue descrivendo quali armi e come venivano prodotte, testate e modificate: Il dossier contiene i progetti di diverse testate. Quattro diversi proiettili per cannone di grande calibro e soprattutto il Firos25, un razzo speciale ideato dai tecnici di Colleferro. Tutta l’operazione condotta a Colleferro per conto di Saddam Hussein è altamente insidiosa. I disegni infatti mostrano come trasformare normali munizioni in armi chimiche: ci sono le sezioni dei detonatori e tutte le informazioni per gestire la metamorfosi poi negli stabilimenti sull’Eufrate. I cannoni del Rais sarebbero così diventati strumenti di una morte invisibile dispersa su centinaia di chilometri. Una beffa alle convenzioni internazionali che hanno messo al bando le armi chimiche sin dagli anni Venti: le hanno proibite perché disumane. Alla Snia-Bpd rispettano la forma della legge: nei test non usano gas ma polveri innocue o miscele di acqua e zucchero, che simulano esattamente le sostanze letali poi usate dagli iracheni. Ma l’azienda ridicolizza la sostanza del divieto, riuscendo con pochi interventi tecnici a moltiplicare la potenza distruttiva del despota di Bagdad: poche modifiche, descritte nei piani tecnici che avrebbero fatto diventare i proiettili dei terribili messaggeri di gas. È proprio il Firos” gittata 25Km a dare le maggiori soddisfazioni nelle prove, condotte sul poligono della fabbrica laziale: . Oltre nove metri di raggio, destinati a venire contaminati con iprite e mostarda.” Gli effetti di tali sostanze provocano “scarnificazione dei corpi e blocco dei polmoni” e consenso da parte degli iracheni che con l’utilizzo hanno provocato una contaminazione di “milioni di metri quadrati di terreno.”…. “La stessa cosa è accaduta con le munizioni per gli obici da 155 millimetri, modificati per sganciare nubi che non davano scampo. (pag. 233-234). Il libro di Di Feo contiene anche molte altre indicazioni sull’utilizzo, sulla produzione, sullo stoccaggio e sullo sversamento di armi chimiche fuori e dentro il territorio italiano, nei mari, nei deserti e nei depositi, dai primi anni del ‘900 fino ad oggi. La filiera dei gas bellici, secondo la mappa dei servizi segreti inglesi ai tempi della seconda guerra mondiale, comprende anche “officine di produzione capaci di contribuire con quantità limitate...” e gestite “dall’Aeronautica a Frosinone…” (pag. 54). Noi vogliamo solo rendere note informazioni per cercare verità sul nostro territorio. Ci viene da pensare se non sia il caso di andare a controllare cosa ci possa essere nei vecchi depositi o nelle gallerie, situati all’interno del comprensorio industriale di Colleferro e di cui ex-dipendenti della Snia BPD potrebbero esserne a conoscenza. Vorremmo sapere quali sono le perimetrazioni del poligono utilizzato da Snia Bpd, prima, e Simmel Difesa SpA, che poi ne ha rilevata la posizione commerciale, se vi sono stati fatti test anche con sostanze chimiche e se ne è prevista la caratterizzazione del terreno. Parlare di cementificazione di tali luoghi potrebbe significare voler seppellire definitivamente lati oscuri della storia italiana. A tal proposito se l’amministrazione del Comune di Colleferro, invece di proporre piani di urbanizzazione con il neo-PUGC (Piano Urbanistico Generale Comunale), non chiederà a chi spetta di desecretare l’area, protetta da un decreto regio del 1941, per permettere poi agli enti preposti il controllo per constatare l’eventuale esistenza di stoccaggio di materiale chimico-bellico, con rapporti dettagliati e comunicati alla cittadinanza, diventerà necessario attivare gli organi ambientali nazionali ed europei attraverso le forme giuridiche che ci sono permesse.

Valle del Sacco, 22 gennaio 2010


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